
La mia storia con la Bosnia inizia da lontano, esattamente dal 1992-1993.
Nei mesi in cui nella ex Jugoslavia infuriava la guerra civile mi ritrovai quasi per caso a fare “volontariato” nei luoghi adibiti ad accogliere le persone che scappavano – spesso “solo” temporaneamente” – da quell’inferno che fino a pochi mesi prima erano le loro case.
È stato attraverso le loro storie che ho imparato a “conoscere” città e cittadine come Banja Luka, Bihac, Osijek, Mostar, Zenica, Tuzla, Brcko, Slavonski Brod , Srebrenica, Sarajevo. Soprattutto storie di bambini o di giovani ragazze come me. I loro nomi li ricordo ancora: Maritza, Irma, Emira, Fatima, Sanela, Adnan, Clarissa, Nina, Melina, Amela.
I loro volti sono ancora dentro di me e spesso in questi vent’anni mi sono chiesta dove fossero, che uomini e donne fossero diventati. Perché molti di loro partivano all’improvviso, lasciavano i campi profughi per tornare in quella che non era più la Federazione Jugoslava del Maresciallo Tito ma erano Stati indipendenti: Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro. Oppure trovavano rifugio da parenti e amici per lo più in Germania o Inghilterra, senza lasciare comprensibilmente nessun recapito. In questi anni avrei tanto voluto rintracciare qualcuno di loro ma purtroppo senza sapere il cognome e con una foto vecchia la cosa si è rivelata impossibile.
Finché alcuni mesi fa io e mio marito abbiamo deciso la meta delle vacanze estive: perché non farsi un giro nei Balcani? Sarajevo? Sì anche Sarajevo. E così ho iniziato a pensare al perché in tutti questi anni di viaggi per il mondo non avessi mai pensato ad andare nella capitale bosniaca. Già..perché?
Ci ho riflettuto nel periodo di preparazione al viaggio e la risposta che mi sono data può sembrare stupida: nella mia testolina questa città e la Bosnia Erzegovina erano rimasti territori di guerra.
Mai mi sarei immaginata di poter camminare lungo quella che all’epoca era chiamata la “via dei cecchini” , vedere da vicino l’Holiday Inn – quell’ enorme albergo colorato di giallo, forse un po’ stonato nell’architettura di stampo comunista della vecchia Sarajevo, uno dei simboli della città assediata – visitare quel tunnel scavato a mano che ha salvato la vita alla popolazione durante gli anni dell assedio

fare la spesa al Markale, luogo di stragi infinite
(sullo sfondo la grande parete rossa menziona tutti i morti nelle due stragi al Markale)
E fare queste cose magari con una delle persone conosciute in quegli anni: quante possibilità ci sarebbero state?
Ebbene…questo è successo. E ora che lo scrivo appare ancora più incredibile!
È però doverosa una premessa. Prima di partire ho chiesto ad una persona che all’epoca coordinava il gruppo di volontari di mettermi in contatto – se ci fosse riuscito – con una ragazza in particolare che sapevo essere tornata a Sarajevo durante la guerra ma di cui non avevo avuto più notizie. E il “miracolo” è avvenuto!
Ci siamo prima parlate al telefono e già solo il fatto di sapere che stava bene, che ce l’aveva fatta – non era poi così scontato – che si fosse sposata e avesse due meravigliosi figli è stata per me una gioia immensa! Ricordavo di lei i suoi capelli biondissimi e i suoi riccioli morbidi e sapevo solo che era rientrata prima della fine della guerra per ricongiungersi al suo amore – che è diventato suo marito, il “suo eroe” come lo abbiamo affettuosamente soprannominato -.
Ci siamo accordate, per rivederci a distanza di più di vent’anni nella sua città: Sarajevo.
Dopo questa doverosa premessa..l’incontro c’è stato: lei accompagnata dal suo bellissimo bambino, abbiamo cenato insieme in Baščaršija, abbiamo parlato, ci ha raccontato la sua Storia – sì, con la esse maiuscola – con una tale serenità e con la gioia di chi sa di essere fortunata, di avercela fatta.
E per me è stato come un fiume in piena che riversa emozioni e sensazioni, ricordi messi in un angolo e riaffiorati in quel preciso momento. Ascoltandola mentre con il sorriso mi raccontava quello che aveva passato mi ha fatto commuovere. Andare a casa sua, conoscere suo marito, passeggiare insieme a loro lungo quella che durante la guerra era la “sniper alley” ci ha riportato a quei giorni. Tutto questo mi ha fatto innamorare ancora di più di questa città.
Lei ci ha letteralmente spinto a bere dalla fontana posta all esterno della grande moschea in Baščaršija: la leggenda vuole che chi beve da lì tornerà a Sarajevo! Ho bevuto a piene mani!!

Mente scrivo e ripenso al momento in cui ci siamo salutate provo ancora la stessa stretta al cuore..
Difficile da spiegare razionalmente: è come se avessi ri-trovato una parte di me, come se questi 20 anni non fossero mai passati.
Ma non è stato un addio: sono certa che ci rivedremo. Del resto ho bevuto l’acqua della fontana!!
Grazie Sarajevo per avermi ridato una parte della mia vita: questo non è stato il “solito” viaggio, ma un viaggio del cuore e dell anima.
Per chi fosse interessato a (cercare di) capire e magari conoscere quello che è stato l’assedio di Sarajevo durato 4 lunghissimi anni, può dare un’occhiata a questo documentario o leggere il libro “Surviving Sarajevo: [Assedio in XVI movimenti]” di Giano La Setta.
Se volete sapere cos’è stata quell’esperienza di volontariato in Italia cliccate qui
Di seguito alcune foto fatte in quegli anni: magari questo potente mezzo che è internet mi permetterà di ritrovare qualcuno di questi bambini.
(Sanela)
(Fatima – Campo Profughi Postojna Slovenia)
(Irma – Campo Profughi Bibione – ricordo che proveniva da Srebrenica.)
