FIORI DI ROCCIA

Oggi vorrei parlarvi di un libro che mi ha profondamente colpito. Si tratta di “Fiori di roccia” di Ilaria Tuti, edito da Longanesi.

È ambientato durante la Prima Guerra Mondiale e la storia di svolge tra il paesino di Timau, in Carnia nel confine tra Friuli e Austria, e le montagne che lo sovrastano.

Monti della Carnia tra Malga Pramosio e il Lago di Avostanis

Protagonista è Agata, una giovane ragazza che si ritroverà al centro della Storia diventando una portatrice carnica.

Ma chi sono queste figure eroiche?

“Le portatrici carniche furono quelle donne che nel corso della prima guerra mondiale operarono, lungo il fronte della Carnia, trasportando con le loro gerle rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane, dove molto spesso combattevano i loro uomini nei reparti alpini.” (Wikipedia)

Resti di trincee della Prima Guerra Mondiale in Carnia

La donna simbolo delle portatrici è Maria Plozner Mentil che durante un’ascesa fu colpita da un cecchino austro-ungarico verso Passo Pramosio e morì poco dopo. Era il 15 febbraio 1916.

Monumento a ricordo di Maria Plozner Mentil, poco sopra la Malga Pramosio

Ilaria Tuti scrive in modo delicato e appassionato di queste donne per troppo tempo dimenticate dalla Storia

Il mio consiglio è quello di leggere questo magnifico libro e poi visitare i luoghi descritti.

Magari iniziando da una visita al Tempio Ossario di Timau per poi salire a bella escursione adatta a Malga Pramosio – ci si arriva in auto lungo una strada sterrata che attraversa la magica foresta di Pramosio –

da dove inizia il sentiero che porta prima a Casera Pramosio Alta e poi al Lago di Avostanis

Lago Avostanis

Al rientro potrete rifocillarvi con un lauto pasto presso la Malga e magari, perché no, fermarvi a dormire e vivere appieno queste montagne.

E non potrete non pensare ad Agata, Maria, Caterina, Viola, Lucia e a tutti i ragazzi che lassù compirino l’estremo sacrificio.

“Ora riposa (Maria Plozner Mentil n.d.a)nel Tempio Ossario di Timau, fra 1626 alpini, fanti e bersaglieri, gli eroi del Pal Piccolo. All’ingresso, una scritta recita un monito che echeggerà nei secoli: «Ricordati che quelli che qui riposano si sono sacrificati anche per te». Ricordare è nostro dovere e responsabilità. In tempi in cui ci si riempie spesso la bocca in modo inopportuno di parole come «Italia», «Patria» e «confini», teniamo ben presente ciò che hanno significato per milioni di giovani, da entrambe le parti, e cerchiamo di recuperare un sentimento di pudore davanti al sacrificio.” (Ilaria Tuti)

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FREE BURMA

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Da ieri il Myanmar può ritenersi – speriamo e salvo ultimi colpi di coda – un Paese libero dalla rigida dittatura militare che lo opprime da più di quarant’anni, e sarà guidato da una donna piccola e minuta ma con una forza straordinaria che ha passato anni e anni agli arresti domiciliari – le fu negato anche il permesso di assistere al funerale del suo amato marito inglese. Sto parlando di Aung San Suu Kyi che ha fatto della lotta per la libertà del Myanmar una ragione di vita, dedicando a questa causa tutta la sua vita, aggiudicandosi anche il Premio Nobel per la Pace nel 1991 – Premio che lei non potè ritirare e fu consegnato  al figlio.

Tanto per darvi l’idea di come sia questa Donna – sì, con la D maiuscola – usò i soldi del Premio per approntare un sistema sanitario ed educativo nel suo Paese.

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(foto da web)

Se siete interessati a capire e conoscere la sua storia vi consiglio la lettura dei suoi libri “Libera dalla paura” edito da Sperling & Kupfer (1996) e “La mia Birmania” edito da TEA (2010).

Per lei sono state scritte canzoni, una su tutte “Walk on” degli U2. Dalla sua vita è stato tratto il film “The Lady – l’amore per la libertà” di Luc Besson – di cui consiglio vivamente la visione.

Io questo Paese ho avuto la fortuna di visitarlo nel lontano 1999.

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In quell’occasione per la prima volta sentii parlare di lei, della situazione della Birmania e, ad essere sincera, per la prima volta fui combattuta da un “problema” etico: visitare o no un Paese controllato da un rigido e spietato regime militare? Feci della valutazioni, misi nel “piatto” i pro e i contro e alla fine la decisione di andarci si rivelò – a mio avviso – la più giusta. Perchè in quegli anni nessuno sapeva nulla di questo Paese, nulla sulla dittatura; i turisti erano davvero pochi. Al mio ritorno potei parlare e nel mio piccolo far conoscere la situazione che là si viveva. Non senza difficoltà sono riuscita a parlare con la gente del posto, sono riuscita a farmi portare ad uno spettacolo dei fratelli Moustache, più volte incarcerati dal regime per..aver raccontato barzellette sui generali. Ancora ricordo quella scena: uno scantinato minuscolo, le nostre guide che si rifiutavano di portarci perchè il luogo era “controllato”, delle semplici sedie di plastica e appena seduti uno dei fratelli che da un angolo nascosto tira fuori un ritratto di Aung Sun Suu Ky: solo quello sarebbe bastato per farli incarcerare. Abbiamo assistito allo spettacolo, abbiamo applaudito più al loro coraggio che alle loro scenette di cui poco capivamo 😉

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Ho conosciuto un Paese che mi ha colpito il cuore, i sorrisi delle persone, la loro dolcezza, la loro voglia di comunicare sono dei segni che mi porto dentro. E come sempre i bambini occupano un posto particolare

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Ricordo ancora i visi sorridenti delle donne nelle risaie cosparsi della polvere di thanakha – una pasta cosmetica naturale usata soprattutto come filtro solare 

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Impossibile dimenticare le donne con i loro copricapi coloratissimi ed in bocca i cheerots – sigari birmani

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Immagini indelebili restano i giovani monaci belli e fieri in fila per una ciotola di riso

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Le preghiere presso la Pagoda Shwedagon e le ore passate al suo interno, un’oasi di pace e di speranza

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Ecco..tutto questo mi porto nel cuore e da oggi con un peso in meno: il Myanmar si avvia verso la democrazia e spero verso un futuro migliore.

Un estratto della canzone “Walk on” dice:

“Tutto ciò che hai creato

Tutto ciò che hai fatto

Tutto ciò che hai costruito

Tutto ciò che hai rotto

Tutto quello che hai affrontato

Tutto quello che hai provato

Tutto questo puoi lasciartelo alle spalle

Tutto ciò che hai razionalizzato

Tutto ciò di cui ti sei preso cura

È solo questione di tempo”

E finalmente “quel tempo” è arrivato: per Aung Sun Suu Ky e per il popolo birmano. #freeburma

 

LONELY PLANET E IL FRIULI-VENEZIA GIULIA

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E’ di questi giorni la notizia che Lonely Planet – casa editrice tra le più famose per quanto concerne i viaggi – ha “incoronato” le 10 Regioni top al mondo. Permettetemi un po’ di “sano campanilismo” perchè al quarto posto è risultata la mia Regione: il Friuli Venezia Giulia. Ha un territorio poco vasto ma che racchiude territori ancora selvaggi come le “nostre” montagne o spiagge alla moda. Città e luoghi che hanno scritto la Storia come Trieste, Redipuglia e molti altri. Senza farsi mancare un buon bicchiere di vino da accompagnare magari ad una fetta di frico con polenta ^_^.

E se questa classifica ha stuzzicato la vostra curiosità, iniziate da questi due luoghi che da soli meritano una visita in FVG: Redipuglia e il Castello di Duino.

 

VENUTO AL MONDO

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VENUTO AL MONDO di Margaret Mazzantini Ed. Mondadori 2010

Una mattina Gemma sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio di oggi, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo, città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all’aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico, fratello, amore mancato, che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l’amore della sua vita, Diego, il fotografo di pozzanghere. Il romanzo racconta la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d’amore appassionata, imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una guerra che mentre uccide procrea. L’avventura di Gemma e Diego è anche la storia di tutti noi, perché questo è un romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra. La pace è l’aridità fumosa di un Occidente flaccido di egoismi, perso nella salamoia del benessere. La guerra è quella di una donna che ingaggia contro la natura una battaglia estrema e oltraggiosa. L’assedio di Sarajevo diventa l’assedio di ogni personaggio di questa vicenda di non eroi scaraventati dalla storia in un destino che sembra in attesa di loro come un tiratore scelto. Un romanzo-mondo, di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematico come una parabola.

Preso in mano, iniziato e poi riposto, girato e rigirato..c’era qualcosa che mi impediva la lettura di questo tanto declamato romanzo. Le mie amiche – ringrazio Nadia e Simona per avermi “accompagnato” alla lettura – mi dicevano “è bellissimo..ti piacerà..devi leggerlo” . Tranquilli: il problema era mio 😉 perché di rientro dal viaggio a Sarajevo quando molti nodi si sono sciolti e le emozioni hanno cominciato a fluttuare in 5 giorni l’ho finito. Me lo sono “bevuto” questo libro, mi ha incollato al divano, al letto, alla sedia, in piedi in fila alla posta..ogni momento vuoto era una scusa per leggere anche poche righe. Mi ha sventrato, dilaniato: ho pianto e riso con Gemma. Seicento pagine di emozioni pure, indelebili. E “colpi di scena” in ogni pagina: quando pensi di aver capito la Mazzantini fa un giro e ti stupisce.

Tocca temi come la maternità e la non-maternità, l’amicizia, gli amori di quelli che ti tolgono il fiato ma mai sdolcinati, la guerra, la vita e la morte legate ad un unico filo.

C’è una parte intima, familiare ed una parte corale che si legano a doppio filo, con la vita di Gemma e di suo figlio Pietro che riportano alla luce un pezzo della nostra Storia recente troppo spesso dimenticata. Nelle parole della Mazzantini è evidente la contrapposizione tra un prima e un dopo, tra la vita di una donna in tempo di pace e di un’altra donna in tempo di guerra, tra la vita normale e quasi banale al di qua dell’Adriatico e la vita sull’altra sponda, nello stesso momento, nelle stesse ore in cui a Roma si va ad una festa tra musica e caviale a Sarajevo si fatica a trovare da mangiare, si muore in fila per una pagnotta di pane o una tanica di acqua potabile.

Un libro a volte crudo, a volte dolce, un libro “da pelle d’oca”, uno di queli libri che una volta arrivata alla fine vorresti ricominciare subito da capo.

Si è capito che a me è piaciuto davvero tanto!? 😉

E voi? Lo avete letto? Quali impressioni ed emozioni vi ha lasciato?

 

MEMORIE DI SARAJEVO – Prima parte

Stavolta, che ti piaccia o no – che tu lo voglia o meno, lettore – verrai con me a fare un giro di giostra nella Sarajevo assediata. Vedi di non costringermi a tirarti per la manica come un marmocchio riottoso; i cecchini potrebbero notare i nostri armeggi e fare fuoco su di noi. Proprio come in quei videogame sparatutto che ti piacciono tanto. Occhio, però, che qui la scritta “game over” ha il sapore metallico del sangue. Il tuo.

(tratto da “Surviving Sarajevo:[Assedio in XVI movimenti]” di Giano La Setta

Edificio cattedrale

Muro

Visitare Sarajevo non può, secondo me, prescindere dalla sua storia. Perchè in questa città si respira ancora – e si vedono ancora – le ferite che piano piano, a fatica, le persone stanno cercando di rimarginare.

L’emblema di queste ferite che si stanno chiudendo è la Biblioteca Nazionale -Vijećnica. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992 l’esercito serbo che assediava la città la colpì con bombe incendiarie e granate che la distrussero completamente: volontari e bibliotecari cercarono di portare in salvo i libri in essa contenuti ma purtroppo i loro sforzi furono vani. Nell’incendio morì una giovane bibliotecaria – Adina Buturovic, che mi piace ricordare come una degli eroi di questa immane tragedia – e due milioni di libri andarono letteralmente in fumo.

Targa

Credo che molti abbiano visto le foto di quell’incendio

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e sappiano la storia del musicista bosniaco Vedran Smailovic che suonò tra le ceneri della Biblioteca a rischio della sua stessa vita – quanti eroi ha questa Storia!

Smailovic                                      (foto da web)

Dopo ventitre anni la Biblioteca è risorta: ad aprile di quest’anno è stata di nuovo riaperta al pubblico e la gente di Sarajevo potrà presto consultare di nuovo i ibri – quei pochi “salvati” e i tanti donati dalla comunità internazionale.

Biblioteca

Entrarvi per me è un’emozione indescrivibile. E’ vero gli interni sono ancora vuoti e fa un po’ strano vedere una biblioteca – che stando alle notizie sarà adibita anche a sede di eventi, mostre e  concerti – senza libri. Ma la sua bellezza è disarmante:

Magia

Interno biblio

Soffitto biblio

I giochi di luce che producono le vetrate colorate sono pura magia

luce

Se potete andateci al tramonto – è aperta dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle 20.00: l’astmosfera vi rapirà i sensi.

In questo periodo all’interno è allestita una mostra fotografica su Srebrenica e al piano di sotto un’altra sul centenario di Sarajevo

Manifesto

Un altro simbolo di questa città e memoria di quei giorni sono le cosiddette “Rose di Sarajevo” – poesia per descrivere simboli che sono tutt’altro che poetici..ma anche questa è Sarajevo:

Rose

Se il vostro sguardo ogni tanto si poserà sull’asfalto, potrete vedere queste macchie rosse che hanno la forma di fiori e petali sparsi: sono i segni lasciati dalle granate sull’asfalto e che sono state “riempite” di vernice rossa, là dove molte persone sono rimaste uccise. Ho visto la gente girare intorno a questi quadrati sull’asfalto, in silenzioso rispetto. Cicatrici sull’asfalto a futura memoria, perchè Sarajevo e i suoi abitanti non vogliono – e non possono – dimenticare, ma vogliono fortemente andare avanti.

Se alzerete la testa sopra le “rose”, in alcuni punti della città, vedrete anche le targhe commemorative con incisi i nomi di coloro che non ci sono più a causa di quelle granate:

Iscrzioni

Il mio viaggio della memoria continua e mi ritrovo in un luogo quasi anonimo vicino all’aeroporto. Noi  – io e mio marito, compagno di questo viaggio che non finirò mai di ringraziare per aver condiviso con me momenti importanti lungo questo cammino – ci siamo arrivati grazie ad un tour organizzato dall’Ufficio del Tursimo che si trova a Baščaršija  (che si legge “Basciarscia”) – chiedete di Darko, ragazzo che parla un perfetto italiano con accento piemontese che oltre a mostrarvi e spiegarvi con dovizia di particolari quello che andrete a vedere, vi racconterà anedotti interessanti e la quotidianità della città -. Siamo al Museo del Tunnel che si trova nel quartiere Butmir – Ulica Tuneli 1 -, aperto tutti i giorni dalle 9 alle 16; l’entrata costa 10 KM (circa 5 euro). E’ piuttosto difficile arrivarci da soli, meglio affidarsi ad un taxi o appunto ad una visita guidata.

Tunel

C’è chi dice che questo tunnel abbia salvato la vita ai sarajevesi intrappolati durante gli anni dell’assedio, quando dalla città niente e nessuno ne uscivano e niente e nessuno ci entravano. Quindi nemmeno le scorte alimentari e i beni di primaria importanza.

Originariamente era lungo circa 800 mt, largo 1,20 mt e alto 1,50 mt., il punto più profondo si trova a 5 mt. sotto terra. Fu realizzato scavando a mano e con dei mezzi di fortuna. Vi si accedeva passando da una casetta anonima della famiglia Kolar.

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Oggi sono percorribili 25 mt., ma posso assicurare che sono sufficienti per cercare di capire cosa fosse passare lì sotto per poter far sopravvivere la propria famiglia, un’intera città. Ogni giorno vi transitavano 4000 persone e ci si impegavano due ore per percorrere quegli 800 mt.
All’esterno del tunel si trova un piccolo Museo che contiene alcuni cimeli di quei giorni come armi, attrezzi usati per lo scavo, “indumenti” di fortuna.
All’esterno vengono proiettati dei filmati che mostrano cos’erano quegli anni di assedio e cosa ha significato il Tunnel.
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La zona intorno è ancora transennata per il pericolo mine – problema che esiste in tutta la Bosnia Erzegovina.
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La prima parte di questo viaggio nella memoria di Sarajevo finisce qui, ma…ci sono ancora molte cose da raccontare.

Vecchio tram

BOSNIA, UN’EMOZIONE LUNGA VENT’ANNI

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La mia storia con la Bosnia inizia da lontano, esattamente dal 1992-1993.

Nei mesi in cui nella ex Jugoslavia infuriava la guerra civile mi ritrovai quasi per caso a fare “volontariato” nei luoghi adibiti ad accogliere le persone che scappavano – spesso “solo” temporaneamente” – da quell’inferno che fino a pochi mesi prima erano le loro case.

È stato attraverso le loro storie che ho imparato a “conoscere” città e cittadine come Banja Luka, Bihac, Osijek, Mostar, Zenica, Tuzla, Brcko, Slavonski Brod , Srebrenica, Sarajevo. Soprattutto storie di bambini o di giovani ragazze  come me. I loro nomi li ricordo ancora: Maritza, Irma, Emira, Fatima, Sanela, Adnan, Clarissa, Nina, Melina, Amela.

I loro volti sono ancora dentro di me e spesso in questi vent’anni mi sono chiesta dove fossero, che uomini e donne fossero diventati. Perché molti di loro partivano all’improvviso, lasciavano i campi profughi per tornare in quella che non era  più la Federazione Jugoslava del Maresciallo Tito ma erano Stati indipendenti: Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro. Oppure trovavano rifugio da parenti e amici per lo più in Germania o Inghilterra, senza lasciare comprensibilmente nessun recapito. In questi anni avrei tanto voluto rintracciare qualcuno di loro ma purtroppo senza sapere il cognome e con una foto  vecchia la cosa si è rivelata impossibile.

Finché alcuni mesi fa io e mio marito abbiamo deciso la meta delle vacanze estive: perché non farsi un giro nei Balcani? Sarajevo? Sì anche Sarajevo. E così ho iniziato a pensare al perché in tutti questi anni di viaggi per il mondo non avessi mai pensato ad andare nella capitale bosniaca. Già..perché?

Ci ho riflettuto nel periodo di preparazione al viaggio e la risposta che mi sono data può sembrare stupida: nella mia testolina questa città e la Bosnia Erzegovina erano rimasti territori di guerra.

Mai mi sarei immaginata di poter camminare lungo quella che all’epoca era chiamata la “via dei cecchini” , vedere da vicino l’Holiday Inn – quell’ enorme albergo colorato di giallo, forse un po’ stonato nell’architettura di stampo comunista della vecchia Sarajevo, uno dei simboli della città assediata – visitare quel tunnel scavato a mano che ha salvato la vita alla popolazione durante gli anni dell assedio

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fare la spesa al Markale, luogo di stragi infinite

markale(sullo sfondo la grande parete rossa menziona tutti i morti nelle due stragi al Markale)

E fare queste cose magari con una delle persone conosciute in quegli anni: quante possibilità ci sarebbero state?

Ebbene…questo è successo. E ora che lo scrivo appare ancora più incredibile!

È però doverosa una premessa. Prima di partire ho chiesto ad una persona che all’epoca coordinava il gruppo di volontari di mettermi in contatto – se ci fosse riuscito – con una ragazza in particolare che sapevo essere tornata a Sarajevo durante la guerra ma di cui non avevo avuto più notizie.  E il “miracolo” è avvenuto!

Ci siamo prima parlate al telefono e già solo il fatto di sapere che stava bene, che ce l’aveva fatta – non era poi così scontato – che si fosse sposata e avesse due meravigliosi figli è stata per me una gioia immensa! Ricordavo di lei i suoi capelli biondissimi e i suoi riccioli morbidi e  sapevo solo che era rientrata prima della fine della guerra per ricongiungersi al suo amore – che è diventato suo marito, il “suo eroe” come lo abbiamo affettuosamente soprannominato -.

Ci siamo accordate, per rivederci a distanza di più di vent’anni nella sua città: Sarajevo.

Dopo questa doverosa premessa..l’incontro c’è stato: lei accompagnata dal suo bellissimo bambino, abbiamo cenato insieme in Baščaršija, abbiamo parlato, ci ha raccontato la sua Storia – sì, con la esse maiuscola – con una tale serenità e con la gioia di chi sa di essere fortunata, di avercela fatta.

E per me è stato come un fiume in piena che riversa emozioni e sensazioni, ricordi messi in un angolo e riaffiorati in quel preciso momento. Ascoltandola mentre con il sorriso mi raccontava quello che aveva passato mi ha fatto commuovere. Andare a casa sua, conoscere suo marito, passeggiare insieme a loro lungo quella che durante la guerra era la “sniper alley” ci ha riportato a quei giorni. Tutto questo mi ha fatto innamorare ancora di più di questa città.

Lei ci ha letteralmente spinto a bere dalla fontana posta all esterno della grande moschea in Baščaršija: la leggenda vuole che chi beve da lì tornerà a Sarajevo! Ho bevuto a piene mani!!

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Mente scrivo e ripenso al momento in cui ci siamo salutate provo ancora la stessa stretta al cuore..

Difficile da spiegare razionalmente: è come se avessi ri-trovato una parte di me, come se questi 20 anni non fossero mai passati.

Ma non è stato un addio: sono certa che ci rivedremo. Del resto ho bevuto l’acqua della  fontana!!

Grazie Sarajevo per avermi ridato una parte della mia vita: questo non è stato il “solito” viaggio, ma un viaggio del cuore e dell anima.

Per chi fosse interessato a (cercare di) capire e magari conoscere quello che è stato l’assedio di Sarajevo durato 4 lunghissimi anni, può dare un’occhiata a questo documentario o leggere il libro “Surviving Sarajevo: [Assedio in XVI movimenti]” di Giano La Setta.

Se volete sapere cos’è stata quell’esperienza di volontariato in Italia cliccate qui

Di seguito alcune foto fatte in quegli anni: magari questo potente mezzo che è internet mi permetterà di ritrovare qualcuno di questi bambini.

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fatima.jpg(Fatima – Campo Profughi Postojna Slovenia)

irma.jpg(Irma – Campo Profughi Bibione – ricordo che proveniva da Srebrenica.)

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Sarajevo ljubavi moja

Moschea sarajevo

Sono qui, seduta nel terrazzo del nostro appartamento di Dubrovnik, in una giornata di relax ma..ma tornano alla mente i giorni passati a Sarajevo. Con questa città mi lega una storia, tante storie, lunga vent’anni.Ma per parlare di questo devo ancora elaborare alcune emozioni, forti emozioni che da sole sono valse il viaggio. Ma visto che molti ancora devono partire e magari sono indecisi sulla meta un solo consiglio: andate a Sarajevo! Mi ha rapita, stregata, fatta innamorare come pochi luoghi al mondo sono riusciti a fare. Si respira un’aria particolare, difficile da descrivere, un misto fra oriente e occidente (banale si..forse, ma sono le uniche parole che la descrivono). Lasciatevi trasportare dalla folla lungo il labirinto della Bascjarja

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prendetevi un po’ di tempo per assaporare i ritmi balcanici magari davanti ad un Bosanska kafa (il caffè turco per intenderci servito con dei dolci simili alle nostre gelatine nei bicchierini tipici)

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Provate i cevapcici in uno dei tanti ristorantini

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O la pita (o burek) burek

E non fatevi mancare la baklava

 

Rilassatevi in uno dei tanti narghila bar (tutto legale eh!!)

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Andateci a Sarajevo, ma fatelo anche in punta di piedi: i segni della recentissima guerra sono ben visibili e non solo negli edifici, ferite profonde nell’anima di questa bellissima città che mi ha rapito il cuore.

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Vivetela senza fretta, senza l’ansia di voler vedere tutto…tanto ci tornerete!

OM NAMA SHIVAYA NEPAL

Dopo il devastante terremoto che ha colpito il Nepal sabato scorso stanno riaffiorando i tanti ricordi messi in un cassetto di quel viaggio del lontano 2003 a Kathamandu e nelle valli circostanti.

Mi ritrovo a pensare cosa ne sarà di quei luoghi visitati più di dieci anni fa, delle persone incontrate

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Credo che ognuno di noi abbia “un posto del cuore”, un luogo dove ha lasciato un pezzetto di anima. Due dei miei “Luoghi del cuore” sono proprio in Nepal:  Bhaktapur e Boudhanath.

Il primo è una cittadina ad una decina di chilometri da Kathmandu, un’antica città newari  (il luogo dove Bernardo Bertolucci ha girato molte scene de “Il piccolo Buddha”). Di questa cittadina ricordo l’atmosfera alla sera quando tutti i turisti se n’erano tornati nella capitale nepalese e nelle vie eravamo rimaste solo noi e pochi altri “occidentali”; ricordo la puja della sera e la curiosità delle persone; ricordo come abbiamo seguito una musica proveniente da un cortile e ci siamo ritrovate in mezzo ad una festa: ricordo come siamo state accolte con gioia e allegria.

E non posso non chiedermi cosa ne sia stata di quei templi, della sua Durbar Square con il palazzo delle 55 finestre, delle sue pagode, della sua gente.

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Il mio cuore fa un balzo vedendo le immagini della Braktapur di oggi.

Boudhanath invece è uno dei più grandi stupa del mondo, diventato luogo di asilo per molti rifugiati tibetani che tutto intorno hanno costruito templi, case e scuole che servono a preservare la loro cultura e le loro tradizioni.

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E ricordo la “colonna sonora” di quel viaggio ed in particolare la musica che si sentiva ovunque a Boudhanath.

Da ciò che leggo lo stupa ha subito lievi danni mentre le case, i templi e le scuole nate ai “suoi piedi” sono andate distrutte.

Dopo lo tsunami che colpì l’Oceano Indiano nel 2004 partii, nell’agosto successivo, per un periodo di volontariato nell’India del Sud. L’istinto e l’impulso ora sarebbe di fare lo stesso ma credo che in questo momento sia bene seguire i consigli contenuti in questo articolo e che condivido in toto.

Per chi volesse contribuire nell’immediato mi sento di consigliare di fare una donazione (anche piccolissima) tramite il sito http://www.agire.it/, che raggruppa alcune delle più “conosciute” ONG o attraverso due piccole Associazioni che già da tempo si trovano in Nepal per progetti di diverso tipo:

http://www.humantraction.org/

http://www.mandinamaste.net

E’ tempo di dichiarazione dei redditi: a queste associazioni potrete donare anche il 5X1000.

La mia speranza è che il Nepal e la sua gente possano presto risollevarsi e, in fondo in fondo, spero in qualche modo di poter contribuire anch’io affinchè questo avvenga.

Om Nama Shivaya Nepal

Parigi atmosfera magica

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Di ritorno da Parigi con molta nostalgia mi accingo a raccontarvi questa nostra cinque giorni in una delle città più belle del mondo!

Per quanto riguarda l’organizzazione del viaggio ne ho parlato qui.

L’unica variante al programma originario è che dall’aeroporto al “nostro” appartamento abbiamo prenotato da casa un taxi con taxileader: puntuali, efficienti e giusto costo oltre che molto comodo.

Consiglio anche di scaricare le applicazioni maps.me e paris metro, che si sono rivelate molto utili (attenzione: Wi-Fi quasi inesistente nei luoghi pubblici, quindi prevedete una mappa cartacea o una che funzioni anche off line).

Facciamo la conoscenza con il nostro host Peter che ci spiega alcune cose dell’appartamento, ci saluta e ci lascia le chiavi di quella che sarà per i prossimi cinque giorni “la nostra casa” parigina. Scelta azzeccata quella dell’appartamento: per me era la prima volta – di solito usiamo hotel o B&B – che ci ha permesso di “vivere” il quartiere – Montmartre – che è stata una vera “scoperta” (se volete approfondire la conoscenza vi consiglio di leggere il racconto di Beatrice.

La vista dal balconcino che dà sui tetti di Montmartre e sulla cupola della Basilica mi conquista

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Ci guardiamo un po’intorno e poi via…scendiamo i cinque piani – sì..avete letto bene: cinque! – e siamo su Rue Lepic a due passi dal Cafè di Amelie e svoltato l’angolo ci troviamo davanti il mitico Moulin Rouge

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Se vi interessasse passare una serata – piuttosto costosa – nel locale più famoso di Parigi, potete prenotare anche da casa qui.

Il Moulin Rouge nacque 125 anni fa sull’onda del successo di un altro locale dell’epoca le Moulin de la Gallette, immortalato da Renoir, ora trasformato in ristorante, ma che merita secondo me una visita anche solo per rivivere l’atmosfera dell’epoca.

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In tutta Montmartre si respira quell’aria bohemienne che quasi ci aspetta da Parigi: i numerosi bistrot con i tavoli colorati

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La Place du Tertre con i pittori di strada e sullo sfondo la maestosa Basilica de Sacre Coeur

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I suoi negozi di souvenir e le sue gallerie d’arte, artisti di strada rapiti dal sogno degli impressionisti. Potete farvi prendere da un acquisto un po’ azzardato: anche l’occhio vuole la sua parte!

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Le tante brasserie con ogni prelibatezza:  non fatevi mancare l’assaggio di questi plumcake che sembrano delle vere opere d’arte! Inutile dire che ci hanno fatto “compagnia” allietando le nostre colazioni.

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Perdendoci per le vie del quartiere la nostra attenzione viene attratta da una Chiesa poco menzionata nelle guide, ma che a mio parere merita una visita. Sto parlando de l’Eglise de Saint Jean in Place des Abessess (con fermata della metro omonima).

Gli artisti hanno preso a prestito i muri del quartiere anche per esprimere le loro idee e i loro stati d’animo.

Abbiamo lasciato per ultima la visita di questa prima giornata ad uno dei simboli di Parigi: la Basilica de Sacre Coeur, – fermata metro Abessess e funicolare, compresa nel Paris visite zona 1/3 – costruita più di un secolo fa.

L’ingresso alla Basilica è gratuito – tutti i giorni dalle 6.00 alle 22.30 – mentre per salire alla cupola si paga un biglietto di € 5,00 – tutti i giorni dalle 9.00 alle 17.45.

In questa prima volta in città abbiamo optato per una visita solo esterna degli edifici di maggior interesse, riservando per un futuro viaggio – spero a breve – gli interni; infatti le code per entrare nei vari luoghi sono spesso interminabili.

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Anche qui in questo luogo il sacro e profano si mischiano in un’idea di libertà assoluta. E così non è difficile trovare ai piedi della scalinata che porta alla Basilica artisti di strada di ogni genere.

acrobata

Ci rendiamo conto che la fermata della metro – Blanche – è a due passi da casa: sarà il nostro punto di partenza per la scoperta della città, che se avrete la pazienza e la voglia di seguirmi vi racconterò prossimamente.

Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita. (Alphonse de Lamartine)

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Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita. (Alphonse de Lamartine)

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